Le sostanze che si degradano rapidamente possono essere eliminate dall’ambiente in tempi brevi. Anche se tali tipi di sostanze possono produrre effetti avversi, in particolare in caso di fuoriuscita o di incidente, tali effetti sono localizzati e di breve durata. Al contrario, le sostanze che non si degradano rapidamente possono esercitare in acqua un’azione tossica su un’ampia scala spaziale e temporale.
Un modo per dimostrare la degradazione rapida consiste nell’applicare i test di screening della biodegradazione, destinati a determinare se una sostanza organica è «prontamente biodegradabile». Se tali dati non sono disponibili, un rapporto BOD (5 giorni)/COD ≥ 0,5 è considerato un indice di degradazione rapida.
Perciò, una sostanza che supera questo test di screening è considerata una sostanza che probabilmente si degrada «rapidamente» nell’ambiente acquatico ed è quindi improbabile che sia persistente.
Tuttavia, un risultato negativo nel test di screening non significa necessariamente che la sostanza non si degraderà rapidamente nell’ambiente. Possono quindi essere prese in considerazione anche altre prove di degradazione rapida nell’ambiente, che sono particolarmente importanti quando le sostanze inibiscono l’attività microbica alle concentrazioni utilizzate nelle prove standardizzate.
Di conseguenza, è introdotto un ulteriore criterio di classificazione che consente di utilizzare dati che dimostrano che la sostanza ha subito effettivamente una degradazione biotica o abiotica nell’ambiente acquatico superiore al 70 % entro 28 giorni. Pertanto, se la degradazione è dimostrata in condizioni che rispecchiano quelle dell’ambiente reale, la sostanza risponde al criterio della «degradabilità rapida».
I numerosi dati disponibili sotto forma di emivita di degradazione possono essere utilizzati per definire la degradazione rapida, purché sia ottenuta la biodegradazione totale della sostanza (ossia la completa mineralizzazione). In genere la biodegradazione primaria non è sufficiente per valutare la degradabilità rapida, a meno che si possa dimostrare che i prodotti della degradazione non soddisfano i criteri di classificazione delle sostanze come pericolose per l’ambiente acquatico.
I criteri utilizzati riflettono il fatto che la degradazione nell’ambiente può essere biotica o abiotica. L’idrolisi può essere presa in considerazione se i prodotti dell’idrolisi non soddisfano i criteri di classificazione delle sostanze come pericolose per l’ambiente acquatico.
Le sostanze sono considerate rapidamente degradabili se si verifica almeno una delle seguenti condizioni:
a) negli studi di pronta biodegradazione a 28 giorni sono raggiunti almeno i seguenti livelli di degradazione:
- i) nelle prove basate sul carbonio organico disciolto: 70 %;
- ii) nelle prove basate sulla deplezione dell’ossigeno o sulla formazione di diossido di carbonio: 60 % del massimo teorico.
Questi livelli di biodegradazione devono essere raggiunti entro 10 giorni dall’inizio della degradazione, considerato come il momento in cui il 10 % della sostanza è stato degradato, a meno che la sostanza venga identificata come UVCB o come sostanza complessa, multicostituente con costituenti strutturalmente simili. In tal caso e se vi sono sufficienti motivazioni, si può derogare alla condizione relativa alla finestra di 10 giorni e applicare la soglia di 28 giorni;
b) nei casi in cui sono disponibili solo dati relativi alla BOD e alla COD, quando il rapporto BOD 5 /COD è ≥ 0,5; oppure
c) se esistono altri dati scientifici che dimostrino che la sostanza può essere degradata nell’ambiente acquatico (per via biotica e/o abiotica) in misura superiore al 70 % entro 28 giorni.
Pavia, 19 giugno 2020.